Spazio o luogo, nel linguaggio comune sono quasi la stessa cosa. Eppure differiscono totalmente, secondo il prof. Franco Farinelli, e appartengono a due epoche e modi di vedere il mondo diversi. Spazio viene dal greco stadìon, che significa stadio: era infatti questa l’unità di misura della distanza per i Greci, e, nello spazio, tutte le parti sono tra loro equivalenti e possono essere scambiate senza che cambi nulla. Il Luogo, al contrario, indica una parte della Terra unica. Non ne esiste un’altra uguale e non può essere scambiata con nessun altra.
Lo spazio nasce, o meglio, comincia a delinearsi come concetto, quando si cerca di riprodurre sulla carta la curvatura del globo, perfetto nella sua sfericità, sottrarre una delle tre dimensioni per lasciarne solo due. Uno tra i primi a fare questo tipo di lavoro, ancora in parte da decifrare, fu Tolomeo, geografo egiziano di lingua greca, vissuto in epoca ellenistica. Comunque, lo spazio non ha necessità di affermarsi in quel periodo, né, tantomeno, nelle epoche a seguire: fino al Medioevo, il mondo è un insieme di luoghi, non di spazi. Non c’è fretta: Marco Polo misura le distanze con il tempo impiegato ad attraversarli, non con misure oggettive.
Diverso è, invece, il discorso per Colombo, che ha fretta di arrivare a destinazione: lo spazio ha già preso il posto dei luoghi. Grazie alla carta geografica Colombo già sa, o almeno crede di sapere, dove arriverà. Lo spazio è, in definitiva, la velocità con cui ci si sposta da un punto A a un punto B. Questo concetto ha permeato tutta la storia del pensiero, specialmente occidentale, con la nascita della distinzione tra soggetto e oggetto, che ha origine con l’invenzione della “prospettiva artificiale” nel Rinascimento.
Il concetto di spazio secondo Polo e Colombo nella vignetta di Sonia Cristallo.
Oggi, effettivamente, sembra tutto diverso: la Rete ha annullato lo spazio, possiamo comunicare con delle macchine a distanza e l’economia diventa sempre più una sola. Il professor Franco Farinelli sostiene che la categoria dello spazio non esiste più, che la globalizzazione ha creato un ordine superiore al concetto di spazio per cui i singoli stati sono tornati ad essere dei singoli luoghi. Tuttavia, partendo dalla Rete, possiamo trovare un’altra chiave di lettura: e se la Rete avesse portato alla sublimazione la visione del mondo come spazio? La Rete ha permesso di portare al massimo la velocità di comunicazione, ha inventato nuove unità di misura con cui misuriamo il nostro spazio digitale (i giga, i byte) e sta creando dei nuovi tipi di soggetto, cioè macchine sempre più intelligenti. Tutto ciò, non rappresenta, forse, l’evoluzione di una visione spaziale del mondo? La globalizzazione non sta creando uno spazio economico, e non solo, unico in cui circolano più velocemente merci, persone e conoscenze e non è questo un nuovo spazio allargato?
Naturalmente, la globalizzazione non ha eliminato i confini, come non ha ridimensionato la visione del mondo come spazio, ma li ha redistribuiti poiché i singoli stati, parti di un unico spazio economico, dal punto di vista culturale sono luoghi che mantengono una cultura propria, una propria identità che, per alcuni, diventa una barriera ma che è, in realtà, una soglia che si può, si deve attraversare. Il limite è una necessità dell’essere umano e lo stesso Leopardi, immaginando l’infinito oltre la siepe, sente che il cuore ”per poco non si spaura”. Ma il confine non deve diventare un muro opposto all’altro, come affermato precedentemente, e, come a volte succede ai confini degli stati o in Rete quando non siamo in grado di essere comunità. Infine, tornando alla visione del mondo come spazio, possiamo rilevare come tutti noi ragioniamo dall’età moderna in termini di spazio, di velocità, di tempo di percorrenza ed è proprio su questo che si basa la Rete e, quindi, la società contemporanea. Questo prospettiva è talmente radicata in noi, che fatichiamo a immaginare il contrario.
Alessio Corvino e Francesco Cirillo
Riprese e montaggio di Giuseppe Di Ginosa